La solita questione meridionale

La solita questione meridionale

Torno da Sant’Agata di Esaro, un paesino arroccato sull’Appennino cosentino, con il cuore pieno di gioia ed emozioni, ma anche con un senso di scoramento. A Sant’Agata, davanti ad un pubblico silenzioso e partecipe, abbiamo presentato il progetto di scrittura creativa “Il qui e l’altrove”, che lo scorso anno ha coinvolto una serie di donne del Cpia Montagna. L’accoglienza della comunità santagatese è stata dolcissima e discreta, cosa nota a chi ha frequentazioni con il Sud, con le zone spesso più marginali capaci di stupire chiunque per la prodigalità e le risorse che in ogni occasione vengono attivate. È stata anche l’occasione per scambiare pensieri, condividere narrazioni ed esperienze con una serie di giovani che hanno reso il mio brevissimo soggiorno piacevole ed empatico. È stato proprio durante queste chiacchierate che ho provato un senso di rabbia e disagio. Sono tanti, troppi i nomi di questi giovani attaccatissimi alla propria terra, cultori dei segreti e delle molteplici storie e leggende che innervano la storia di ogni paese, portatori di sogni e progetti, che prima o poi dovranno pagare lo scotto di lasciare la terra in cui sono cresciuti. Sono giovani di sapere, che si sono costruiti un bagaglio di competenze davvero interessanti, che provano a rimanere, che si accontentano per lunghi periodi di piccoli rimborsi spesa, che si impegnano politicamente e socialmente, ma che ad un certo punto devono arrendersi e andarsene. Un capitale umano e di grande sensibilità che deve lasciare il proprio paese, sconfitto dalla mancanza di lavoro, dalla miopia della classe politica, locale e anche settentrionale, dato che poi quel capitale umano va a colmare una serie di bisogni di cui Milano, Bologna, Torino o il Veneto necessitano. Niente di nuovo sotto il cielo. La speranza è che, se arriveranno risorse (per esempio, quelle del PNRR), come da più parti sbandierate, siano davvero utilizzate, partendo da un grosso lavoro di ascolto di quelle terre, dei suoi abitanti, di chi fugge e di chi solitario rimane. È una grande sfida a cui forse non siamo pronti, ma che dobbiamo sostenere ad ogni costo.
Di Sant’Agata porto con me, oltre a una buonissima bottiglia di Jefferson, tanti volti e tanti sogni: i progetti di robotica di Francesco, le spiegazioni illuminanti di archeologia di Antonella, la dolcezza reticente di Laura, la forza e la tenacia di giovani mediatrici culturali, di amministratori e amministratrici appena trentenni che lottano per avere un servizio veterinario in una landa isolata o che scrivono progetti per riammodernare il centro storico o che si occupano di immigrati in una terra di grande immigrazione.

 

Foto di Laura Martorelli