Il triangolo

Sono giornate calde e ci stiamo avviando verso la conclusione dell’atelier. Uno spazio sicuramente importante di questa ultima parte del laboratorio è legata al rapporto che ogni partecipante ha con la propria lingua e le lingue che per motivazioni diverse ognuno di noi incontra. Gli approcci plurilingui all’insegnamento linguistico mettono in rilievo che la diversità linguistica riguarda tutte le lingue delle comunità scolastiche e include la lingua di scolarizzazione, la lingua nazionale (spesso, ma non sempre, anche lingua di scolarizzazione), le lingue specialistiche delle diverse discipline scolastiche, le lingue straniere studiate o conosciute, i dialetti, le lingue minoritarie. Nel repertorio personale di ognuno queste lingue non si affiancano l’una all’altra, bensì interagiscono e stabiliscono rapporti reciproci contribuendo ad un’unica competenza linguistico-comunicativa. I repertori sono dunque risorse individuali a cui ciascuno può ricorrere, ma che è auspicabile che diventino anche patrimonio della classe. Studi sempre più articolati dimostrano infatti quanto il mantenimento e lo sviluppo delle competenze plurilingue abbiano influssi benefici sul piano emotivo, cognitivo e linguistico.
Anche nell’atelier di scrittura tale discorso può essere affrontato e sono ormai molteplici le letture stimolo che possono spingere l’apprendente a ripensare al proprio rapporto con le lingue. Uno di questi è il testo tratto dal primo libro di Jhumpa Lahiri, scrittrice americana di origine bengalese che, attraverso l’efficace immagine del triangolo, ci racconta il suo rapporto con il bengalese, lingua degli affetti e delle tradizioni, con l’inglese, lingua degli studi e delle relazioni e infine con l’italiano, lingua della scoperta e dell’innamoramento.
Anticipo la lettura da un’attività più pratica, quella dell’autoritratto linguistico, che prevede la realizzazione da parte dello studente del proprio profilo e la collocazione motivata nel corpo di tutte le lingue parlate (compresi i dialetti e le lingue che conoscono appena). Si tratta di un’attività sperimentata ampiamente nelle scuole di ogni ordine e grado e che fa emergere emozioni ed esperienze biografiche, favorisce la socializzazione attraverso le narrazioni e permette anche a chi ha una competenza limitata in lingua italiana di esprimersi utilizzando strutture di base, poiché gran parte della comunicazione avviene attraverso il linguaggio visivo.
Segue poi la lettura del testo di Jhumpa Lairi e la richiesta di scrivere un breve testo in cui ognuno riporta la propria esperienza. Per motivi di spazio, riporto solo il testo di una partecipante, Fatima, che ci racconta il suo triangolo, che nel tempo si amplierà diventando rettangolo, forse un pentagono, immagini utili a mostrare le molteplici possibilità che possono delineare la vita di ciascuno di noi.
Mi sono sempre piaciute le persone che parlano più di una lingua, le ho sempre percepite come persone speciali e interessanti. Per me la lingua non significa solo un paio di parole che si mescolano insieme per fare una frase o un suono, ma qualcosa di molto più articolato e profondo: la lingua significa cultura, appartenenza, ricchezza, un modo di pensare, di scrivere e di pronunciare. Ogni lingua ci porta in un mondo diverso, con un’altra storia e un’altra bellezza.
Vorrei parlare un po’ delle lingue che padroneggio, ossia il berbero, l’arabo e l’italiano.
La lingua berbera l’ho imparata fin da piccola dai miei genitori perché era la lingua del nostro villaggio, poi c’è l’arabo che ho imparato a scuola insieme al francese, che purtroppo ho dimenticato per il poco uso.
La lingua berbera è sempre stata la lingua per comunicare con la famiglia e le amiche, una sorta di dialetto che non c’è nei libri, né ricorre in televisione, ma che si sente spesso nella strada e nelle chiacchiere della gente.
L’arabo mi ha sempre accompagnato e l’ho esercitato attraverso la lettura dei libri, l’ascolto dei telegiornali. È una bellissima lingua, in teoria complicata, ma la sua bellezza sta nella sua difficoltà proprio come la matematica.
La lingua italiana ho cominciato a impararla due anni fa, mi è sempre piaciuta, è veramente una lingua musicale che suona in un modo bellissimo. Ho dovuto impararla perché vivo in Italia. Appena arrivata qui non capivo nulla, rispondevo sempre solo con un sorriso, a volte quando vedevo mio marito o un’altra persona di famiglia parlare italiano mi chiedevo sempre come avessero fatto ad impararla e la risposta era sempre uguale: la motivazione e la volontà. Per quasi quattro anni non ho imparato nulla perché non avevo una motivazione forte. Il cambiamento è avvenuto quando mio figlio ha cominciato la scuola dell’infanzia e mi sono trovata davanti le maestre che mi parlavano di lui e non capivo nulla. È stata quella delusione che ha fatto nascere la voglia e il coraggio di fare il primo passo verso quella lingua che all’udito mi era sempre piaciuta, ma che avevo pensato di non riuscire mai ad imparare.
Eccomi oggi dopo due anni. Ho raggiunto un buon livello, cosa che prima era solo un sogno; ovviamente continuerò a studiare l’italiano fino a quando affiancherà la mia lingua madre.
In questo momento ho cominciato anche a imparare la lingua inglese perché è una lingua sempre più conosciuta e quindi devo impararla per forza, poi sicuramente mi riavvicinerò alla lingua francese.
Le lingue sono un mare profondo di bellezza e piacere, un mare ricco di molti termini e lettere diverse che si uniscono per formare amore ed esistenza, storia e civiltà.
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