Verbale scritto

Finalmente l’atelier di scrittura parte. Il piacere dell’inaspettato, del non previsto è lì nell’angolo. L’appuntamento è in classe, ma in mattinata arrivano vari messaggi con cui cui diverse partecipanti comunicano che saranno online e non in classe (un figlio è indisposto, non c’è l’autobus per raggiungere la stazione più vicina, proprio oggi non ci sono i soldi per il biglietto del treno). Avevo immaginato un altro inizio, spostando i banchi, tornando a quella normalità pre-pandemia che permetteva di immaginare di nuovo gli spazi a seconda delle esigenze e delle proposte. Tuttavia l’imprevisto si è palesato, perciò dispongo gli studenti presenti in semicerchio, ben distanziati, con la lavagna elettronica al centro, come una sorta di grande “caverna” da dove sbucano piccole iconcine colorate, poi visi, mani che si sbracciano e che dimostrano la vera volontà di abitare gli spazi.
Prendo il libro con il testo scelto per partire, una pagina contenuta in Verbale scritto, una raccolta multiforme di testi di Bruno Munari. Mi piace sempre iniziare con quel brano irriverente e faticoso per le immagini contenute, un’autobiografia in terza persona, come se lo scrittore non parlasse di sé ma di un fratello, di un amico, di un’ombra.
Come sempre la lettura scatena interesse, tutti si affrettano a cercare sul web le parole ascoltate e afferrate: le macchine inutili, le forchette parlanti, la lampada di maglia. Rileggo il testo e la lettura orienta, crea un esempio di quello che sarà il compito di scrittura da realizzare. Distribuisco cartoncini colorati e chiedo di raccontare a ognuno chi è, cominciando sempre la frase con l’anafora Quello o Quella, in terza persona, così da proteggersi, da non esporsi platealmente fin da subito.
In un attimo lo spazio reale e virtuale diventa un insieme di matite sui cartoncini e al termine, proprio dalla caverna illuminata della lavagna elettronica, si alza una voce timida che legge un estratto:
Quella bambina nata sotto il segno dell’acquario
Quella che aveva sempre le guance rosse come il naso dei clown
Quella impacciata, distratta e ingenua
Quella timida e indecisa
Quella insicura su ogni cosa
Quella a cui cadono le lacrime se qualcuno inizia ad alzare la voce
Quella che ha smesso di andare a scuola
Quella che dopo dieci anni sta cercando di rimediare
Quella che baciava la fronte di suo padre
Quella che abbracciava forte la madre
Quella a cui piace disegnare, ma non è poi così brava
Quella che si ritrova nei testi scritti da lei, come se fossero poesie da interpretare
Quella a cui piace tanto leggere
Quella che vorrebbe scrivere un libro pieno di realtà e di fantasia
Quella che si affeziona in un attimo e poi dopo prova dolore
Quella che è cresciuta, ma nell’anima resta una bambina
A cui seguono altri estratti, preziosissimi, delicati, intrecci di spazi e tempi lontani, che non possono stare in un post.
Quella nata a Rubik in Albania nel 1963
Quella dei capretti sulle colline nel 1969
Quella che con il suo canto riempiva di eco i monti nel 1973
Quella che passò cantando dai monti ai palchi nel 1974
Quella che con la sua voce riuscì ad entrare nella scuola artistica più rinomata del paese nel 1978
Quella che insegnava musica nel 1983
Quella che dopo essersi sposata ha ricevuto il bambino più vivace del paese nel 1989
Quella con il secondo bambino tra le braccia sotto l’ombra del monte e del castello, rinfrescati dall’aria salmastra del mare del 1995
Quella che dormiva abbracciata ai figli sul pavimento per paura delle pallottole del 1997
Quella che per riunire la famiglia al marito e per una vita migliore per i figli si ritrovò in un paese straniero nel 2000
Quella dell’impresa che compra la casa dei sogni del 2013
Quella che sogna sempre di insegnare alle seconde generazioni la cultura e la musica di quel paese al di là del mare.
Quella con tante battaglie da vincere sin dal primo istante
Quella che rimase figlia unica
Quella tanto alta e tanto magra
Quella che cresceva
Quella a cui non piaceva andare a scuola
Quella che sin dai 13 anni ha capito cosa vuol dire lavoro
Quella che si è fatta tanta gavetta nei ristoranti
Quella che ha avuto tanti riconoscimenti
Quella che ha avuto tante delusioni
Quella che ha continuato a lottare per amore
Quella che ha capito che era un amore malato
Quella che si è rialzata
Due ore passano velocissime, alla fine usciamo accaldati ma rinfrancati, con la forte convinzione che, parafrasando Kahil Gibran, la scrittura è il salvagente a cui aggrapparsi quando tutto sembra svanire.
Risorse:
B. Munari, Verbale scritto, Il melangolo, 1992
L. Bentini, A. Borri, Leggere per scrivere, Loescher, 2016
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