Un laboratorio di scrittura con donne immigrate

Un laboratorio di scrittura con donne immigrate

Il qui e l’altrove. Un laboratorio con donne immigrate.

Dopo mesi, per alterne vicende personali, condivido con voi alcuni stralci dell’Atelier di scrittura tenuto con donne immigrate nel 2021, con il supporto fattivo dell’Associazione Sassi Scritti e i cui esiti sono confluiti in una pubblicazione dal titolo “Il qui e l’altrove” che  può essere richiesta a info@sassiscritti.org.

Intorno a un laboratorio di scrittura vive un enorme flusso di pensieri, progettualità, risorse ed emozioni.

L’idea di progettare e realizzare un atelier di scrittura mi ha sempre affascinato, fin dai tempi in cui leggevo assetato le pagine della rivista Adultità. Ogni volta che aprivo il semestrale, edito da Guerini, mi sembrava di entrare in un mondo nuovo e ricco di pratiche elegantissime, profonde, di cui spesso però non percepivo l’essenza. Mi sono proposto di avvicinarmi al mondo della scrittura all’inizio di ogni anno della mia esperienza di insegnante, per poi tacere l’intenzione, sempre con la convinzione che sarebbe stato più opportuno e incisivo proporla l’anno seguente.

Insegno in un Centro Provinciale di Istruzione per Adulti, una scuola che cambia pelle ogni anno, che è specchio, spesso in anticipo, dei grandi cambiamenti che innervano la società.  Ho da tempo la possibilità di incontrare classi cariche di intelligenze, curiosità, saperi, bagagli di vita ingombranti, percorsi scolastici e culturali apparentemente lontani anni luce fra loro, classi di donne, uomini e giovani che intraprendono un percorso di formazione, animati da mille e diverse motivazioni.

È stata forse quella eterogeneità che mi ha spinto ad osare, a decidere di avviare un percorso di ripensamento e di ricollocazione delle pratiche di scrittura all’interno del curricolo scolastico.

Le cose poi non vengono mai da sole, è stato il continuo confronto con gli insegnanti di tutti gli ordini di scuola e l’incontro con la collega Lisa Bentini a spingermi ad annodare in modo diverso il mondo della scrittura, affascinante ma per molti versi scivoloso e deludente. Dalle nostre riflessioni è nata una antologia di testi “saporiti e diversissimi l’uno dall’altro, in modo che ognuna e ognuno ne possa trovare qualcuno, almeno uno, che gli dica qualcosa di bello e importante”.

L’atelier, che in breve tempo ha preso un suo spazio visibile e riconosciuto, è diventato così una pratica costante e ineludibile del mio lavoro di classe, in cui si intrecciano dimensioni diverse che alludono all’oralità, alla lettura, all’ascolto, alla creatività, alla testualità, alla creazione, allo spazio fisico. Mi piace l’idea che ogni occasione di lettura e scrittura diventi un evento caratterizzato da azione e partecipazione, una sorta di “micro-teatro”, dove ciascun partecipante “agisce e dialoga con altri”, progetta, scrive, ascolta e si fa ascoltare.

Per realizzare una dimensione formativa così variegata mi sono richiamato, soprattutto nella fase iniziale di ogni laboratorio, al modello di Elisabeth Bing che nei suoi atelier organizzati presso un istituto medico-pedagogico nel Sud della Francia, si proponeva l’obiettivo di avvicinare alla scrittura gli studenti più vulnerabili attraverso quella che definiva un’ “avventura interiore”.

L’esperienza mi ha portato a ritenere che sia un modello esportabile in molte situazioni educative, specie nelle condizioni di forte eterogeneità presenti anche nella scuola degli adulti, dove, all’interno dei corsi, coabitano e lavorano studenti dai retroterra culturali ed educativi più diversi.

I contenuti ad alta soggettività, la presenza di un’impalcatura con modelli alti e definiti a cui richiamarsi, il ricorso a modalità comunicative naturali quali le liste, gli elenchi, le strutture anaforiche, la condivisione del prodotto scrittorio con i compagni, non fanno altro che rafforzare l’appartenenza ad una classe.

Presa confidenza con la scrittura, superata la paura della consegna e della pagina bianca, allargo di solito il campo d’azione e amplio il curricolo di scrittura, facendo sempre riferimento a modelli culturali alti. La scuola anche in questo deve osare, dare possibilità di accedere al bello, al profondo, al significativo.

L’occasione per raccontarsi e scriversi, costruire una biografia collettiva è stata data dalla proposta dell’associazione culturale SassiScritti di realizzare un manuale contenente produzioni ed appunti di donne immigrate, un testo che permettesse di ricomporre i frammenti di un vaso scheggiato, apparentemente rotto, e che facesse emergere elementi della vita di ciascuna partecipante.

Dopo un’ampia e condivisa discussione in classe, sono stati individuati tre segmenti su cui articolare il laboratorio:  l’io di oggi, l’io e le mie radici, l’io e le mie prospettive future.

Il primo segmento è scaturito dall’incontro con i testi stimolo Chi sono? di Bruno Munari, Eredità di Marco Aurelio, Credo di Angela Mastretta, Vivere di Agota Kristof, Alcune delle cose che dovrei pur fare prima di morire di George Perec, Dolcezze di Corrado Govoni, Cose di Simona Vinci.

La possibilità di avviare poi un confronto con le proprie radici e il proprio mondo è stato reso possibile partendo dalle suggestioni di alcuni scrittori che hanno vissuto sulla propria pelle e quindi trattato in modo vivo e vero il tema della migrazione, con molte delle sue implicazioni: La mia primissima Italia di Tahar Lamri, Ciao di Eraldo Affinati, Identità, un bel problema di Igiaba Scego, Alcuni stereotipi, alcuni dei quali non falsi di Tahar Ben Jelloun.

Infine, l’occasione di allargare lo sguardo, di andare oltre la contingenza, di dare spazio ad aspettative, sogni, nuove ridefinizioni e collocazioni, è stato trattato, meditato ed espresso attraverso la lettura di Che fortuna di Allen Ginsberg, Ricetta per il male all’anima di Clara Sereni, Caro Babbo Natale (testo tratto dalla rivista El Ghibli), Lettera mai scritta, modello presentato nel testo edito da SassiScritti nel 2019 e dedicato a un fortunato laboratorio in comunità.

Ogni giornata dell’atelier ha una struttura ricorsiva: di solito si parte dalla lettura di un testo contenuto nell’antologia di classe o ritrovato in una delle scorribande fra antologie vecchie e nuove, blog, consigli di amiche. Il testo viene letto e riletto dagli studenti. Alla lettura è attribuito un ruolo essenziale: evocare il ritmo contenuto in ogni proposta, “fare sprigionare la seduzione di suono, ritmica e di pensiero”. Segue di solito una discussione collettiva, un confronto sul testo, su sensazioni provate a caldo. Poi prende il via l’avventura della scrittura, una sorta di “situazione dialogica” polifonica fra il mondo di ogni lettore/scrittore, l’autore del testo stimolo, l’insegnante e i partecipanti all’atelier.

“Si verifica allora come una nuova nascita: dalle parole di altri, che vengono abbandonate come manichini ingombri, nascono nuove parole che si attestano in forme di testi”.

Si avvia così una sorta di rinnovamento, rigenerazione, ricreazione. Il testo scritto diventa poi dono da condividere in classe, esperienza di socializzazione, di empatia, momento di confronto, ma anche base per una successiva, ponderata e distanziata revisione.

Il lavoro di scrittura, in uno spazio ritenuto sicuro e privo di giudizio, ha permesso alle studentesse/lettrici/scrittrici partecipanti di abbandonare il silenzio, che in molti casi ha contraddistinto parte delle loro esistenze, il silenzio di donne “private della voce” e “impossibilitate a parlare” a causa di eventi traumatici, storici, sociali, familiari che si sono susseguiti repentinamente e in maniera pressante sulle rispettive biografie.

Essere parte dell’atelier ha infuso in loro una dose di coraggio e una gran voglia di esprimersi, alcune si sono accorte “di avere una storia”  da guardare con prudenziale distanza, tutte hanno portato a galla l’unicità di ogni esistenza. Significati latenti, risorse e potenzialità hanno ritrovato un’autonomia e uno spazio di azione che spesso è scaturito dalla riflessione di ciò che la penna o la tastiera aveva registrato. Ad ognuna poi è stato chiesto di scegliere i propri prodotti scrittori liberamente e condividere le proprie tracce in uno spazio altro, con altri lettori.

Mi è tornata alla mente un’immagine proposta da Franco Lorenzoni che, richiamandosi alla tradizione maya, ricorda come i creatori del mondo sono due, non uno. Nel mito dell’origine i due creatori riescono a dare vita ad alberi, stelle, pesci e animali volanti quando si trovano a pensare la stessa cosa nello stesso istante. Un’immagine, un mito che sostanzia la centralità della relazione, dell’incontro, dell’interazione, l’obiettivo primario che avevo accarezzato fin dall’inizio.

 

Bussole:

Bentini L.,  Borri A. (2016), Leggere per scrivere, Loescher editore, Torino.

Bonora E., P. Senni, (2002) Un micro-teatro per la scrittura, TEMI spa, San Lazzaro di Savena.

Bing E. (1977), Ho nuotato fino alla riga. Bambini alla conquista della scrittura, Feltrinelli, Milano.

Chiantera A., Cocever E., Giunta C. (2017), Il laboratorio di scrittura a scuola. Percorsi didattici per la primaria, Carrocci, Roma.

L’isola che c’è. Un laboratorio autobiografico in comunità, in (a cura di Buonaguidi L. e Gori F.), SassiScritti, Porretta Terme.

Pinelli B. (2013), Silenzio dello stato, voce delle donne. Abbandono e sofferenza nell’asilo politico e nella sua assenza, in Antropologia, 15, 85-108.

Lorenzoni F. (2016), Introduzione in (a cura di Niccoli S.), Cari amici vi scrivo, Hoepli. Milano.

L’immagine è un dono di Stefano Ricci